Quello di Michele Rech -alias Zerocalcare- è un caso letterario che è riuscito a portare un rinnovato interesse attorno a un mondo, quello del fumetto, che ha sempre dovuto in qualche modo combattere l’erroneo preconcetto che porta a pensare che la Nona Arte sia in effetti un’arte prettamente minore.

 

Nato proprio nella nostra Arezzo, ma cresciuto nella romana Rebibbia, Zerocalcare porta sulle sue strisce tematiche molto differenti, che partono dalle tragicomiche esperienze di vita quotidiana, che hanno fatto la fortuna del suo blog, a riflessioni estremamente intimiste e personali, grazie alle quali Michele ha riscosso un successo senza precedenti con le sue opere cartacee, a partire dal suo primo albo “La Profezia dell’Armadillo” (animale che incarna la parodia del Grillo Parlante di collodiana memoria, e che accompagna lo stesso Zerocalcare fin dalle primissime strisce), fino ad arrivare a “Dimentica il Mio Nome”, che nel 2014 è balzato in cima alle classifiche dei libri -non solo dei fumetti- venduti e che lo ha consacrato definitivamente come uno degli autori più importanti del panorama letterario nazionale.

 

Una fama che ho toccato con mano martedì 12 aprile quando, dopo tre anni dal mio incontro con Zerocalcare al Lucca Comics & Games 2013, durante il quale sono riuscito senza problemi a farmi scrivere una dedica sulla mia copia della Profezia dell’Armadillo, sono arrivato alla Feltrinelli di Piazza della Repubblica a Firenze trovandomi di fronte ad una situazione quasi surreale: la libreria era stata letteralmente presa d’assalto dai fan in coda da ore ed ore. Centinaia di ragazzi aspettavano con pazienza l’arrivo di Michele in attesa di una dedica.

 

Piccolo aneddoto: grazie alle dediche e a una pazienza ai limiti dell’umano l’autore si è reso ulteriormente famoso quando, in occasione del lancio milanese di Dimentica il Mio Nome, si è dedicato ai fan per tredici ore consecutive, dalle 17:30 alle 6:20.

 

Proprio martedì infatti, Zerocalcare presentava il suo nuovissimo “Kobane Calling”, nel quale l’autore racconta i suoi viaggi come volontario dei centri sociali nella capitale del Kurdistan siriano durante il sanguinoso conflitto tra i Curdi e lo Stato Islamico.

 

Michele ci ha parlato dei primi interessamenti per la questione curda, che coincidono con il suo avvicinamento al mondo dei centri sociali avvenuto sedici-diciassette anni fa. In quel periodo, racconta, i centri sociali accoglievano i profughi curdi; rimase colpito dalle storie di un popolo la cui storia è pregna di repressioni e violenze. Questo interesse lo ha infine portato due anni fa a volare fino a quelle terre come volontario.

 

L’idea di portare questa esperienza su carta, confessa, non è nata immediatamente, ma solo a seguito di alcune vignette pubblicate su Internazionale. Un successo che ha contribuito a fargli prendere la consapevolezza che grazie al fumetto avrebbe potuto portare quel pezzo di storia ad un pubblico diverso e, se vogliamo, più ampio. Il racconto e la sua narrazione sono stati influenzati da alcuni eventi chiave, come ad esempio l’attacco terroristico proprio a quel villaggio che fino a poco tempo prima aveva ospitato il gruppo dell’autore, modificando in tempo reale l’idea narrativa che già si era delineata perlomeno nella sua mente.

 

Ciò che in particolare Zerocalcare ha cercato di trasmettere ai lettori, è non tanto un racconto di guerra, ma di ricostruzione. Secondo l’autore, non si sente mai parlare di concetti importantissimi come il confederalismo democratico della Rojava, che prevede un governo basato sulle assemblee popolari e in cui un grande risalto è dato anche alla figura della donna.

 

Ed è proprio di quelle donne che parla, in risposta ad una domanda del pubblico. Quelle donne che hanno segnato una fortissima rottura con un passato di stampo prettamente feudale, con tanto di matrimoni combinati, e che guardano con coraggio ad un futuro che le vede sempre più protagoniste nelle sorti del Paese.

 

Infine, c’è stato anche spazio per un aneddoto personale. L’autore soffre infatti di insonnia, ma in Kobane Calling si scopre che non ha mai dormito così bene come con le bombe a fare da sottofondo al suo riposo. «Quando vedi gli anziani che giocano a carte e i bambini che si divertono, non puoi metterti a fare il matto. Prima della partenza avevo un’ansia enorme, ma tutto finisce con l’arrivo, nonostante le esplosioni e gli attacchi continui. In qualche modo se ne va ogni piccola preoccupazione che a casa poteva tenerti sveglio.»

 

Potete ascoltare l’intervista a Zerocalcare in versione (quasi) integrale nella pagina di Facebook La Repubblica Firenze, dove potete trovare la registrazione della presentazione.

 

Paolo Simi.