Noise, dissonante, elettronico, eclettico e atipico sono solo alcuni degli aggettivi che si possono utilizzare per descrivere “Fear of the corner”, nuovissimo album dei padovani “Mamuthones”, pubblicato da Rocket Recordings e forgiato negli UK.

 

Sin dalle prime battute di “Cars”, opening track della raccolta, si possono udire leggeri riverberi ‘zappiani’ soprattutto nella sezione dei mallet che ricordano brani alla “Inca Roads”, ad esempio, ma i numerosi riferimenti, sia voluti che non, ovviamente non si fermano qui.

 

Segue “Show me”, brano scandito ritmicamente da un cowbell che rimanda a “Don’t fear the reaper” dei Blue Oyster Cult, partecipe di accordi di chitarra molto funky e pad ricchi di frequenze ma ben amalgamati col resto degli strumenti.

 

La terza traccia – title-track del lavoro in questione – fa perno su una voce alquanto ovattata e prevalentemente proiettata verso le frequenze alte, a mo’ di telefono. Il riff di chitarra e la linea di percussioni afro-cubane ricordano un po’ lo stile di Art Blakey, mentre il testo rimanda ad una dimensione socio-rituale, quasi dadaista. Wah-wah, rumori di sottofondo, dinamiche crescenti e maggiori fill di batteria, portano il brano verso una conclusione quasi hendrixiana, che pare anelare a notti afose di feste voodoo nei sobborghi più misteriosi di una New Orleans cinematografica da anni ’70.

 

“The wrong side”, quarto brano, sorretto da una linea di basso controllata ma fortemente presente e ghost notes sul rullante a non finire, viene arricchito da cori spontanei e freschi che potrebbero ricordare, a qualche giocatore arcade, “I’m the pizza man” direttamente da “Radikal Bikers”.

 

“Alone” si potrebbe definire forse la canzone più pop del disco, la cui colonna vertebrale è il gioco di grancassa e hi-hat, dentro la quale è contenuta una spina dorsale di percussioni afro. Un distorto degno di Adam Jones dei Tool che suona “Discolabirinto” dei Subsonica e Bluevertigo correda il brano, che a tratti sembra assumere una forma dance-rock alla “Listen Up” dei Gossip, arricchita da effetti sonori di natura arcaica.

 

Al sesto posto è collocata “Simone Choule”: si tratta di una composizione abbastanza cupa che potrebbe riportare l’orecchio, almeno inizialmente, ad alcune soluzioni musicali presenti nel “Black holes and revelations”, full-lenght dei britannici Muse.

 

In chiusura si trova infine “Here we are”, una sorta di suite sperimentale le cui tematiche rimandano ad una mesta dimensione religiosa. La vena elettronica dei Mamuthones ivi è ampliamente percepibile in uno dei suoi volti più acerbi, smorzata tuttavia dal groove, mai abbandonato, delle percussioni: arrivati a metà ascolto sarà possibile discernere una eco quasi drum and bass, mentre si profilano delle urla tanto centrifugate acusticamente da sembrare noise in 8-bit, capaci di ricordare gli angoscianti ritornelli di “Divorced” dei Melvins.

 

Non è affatto facile – probabilmente nemmeno utile tuttavia – riuscire a classificare un album del genere e può darsi che ad un primo ascolto possa risultare piuttosto ostico, tuttavia “Fear of the corner” è un piccolo agglomerato artistico ricco di idee, originalità e talento: la musica che vi è contenuta si può ballare, si può ascoltare (e riascoltare) con vivo interesse e può persino scioccare, quando il ramo di cui fa parte non è ben conosciuto da parte del fruitore, e tutto ciò è ottimo, secondo l’opinione di chi scrive.

 

Un prodotto musicale nostrano davvero ragguardevole che merita di essere ascoltato.

 

 

Jacopo Bucciantini