Un crescendo di archi, pad, chitarre e riferimenti ambientali – contenuti nel brano “Gone” – aprono “Tornado”, secondo full-lenght del progetto alt folk e di pop sperimentale, Rigolò.

Stilisticamente il prodotto artistico si pone come un ben amalgamato talamo costituito prevalentemente da violoncello, chitarra, basso, batteria e synth, sul quale si posa una dicotomica linea vocale assai coesa, formata dalla voce di Andrea Carella e Jenny Burnazzi (due dei cinque strumentisti e polistrumentisti partecipi del progetto), che resta piuttosto bassa di volume, rispetto agli standard pop attuali, quindi più in linea con le concezioni orientate verso il synth-pop. 

Il succitato “Gone” sembra proiettare, attraverso atmosfere calde e molto ampie, l’ascoltatore in alto, come in un volo sopra mondi degni di Miyazaky, soprattutto grazie alla linea di violoncello che potrebbe descrivere azzeccatamente le fluide corse di un qualche strano macchinario magico, per colline dove vagano placidamente spiriti di tutti i tipi. 

Il secondo brano, “Happyness”, più ritmato rispetto al predecessore e comunque carico di positive-vibes, lascia spazio a notevoli incursioni strumentali, capaci di cullare il fruitore nella sua stessa immaginazione. Forse ne è complice il bell’art-work stampato sulla copertina dell’album, ma il verde – dell’erba, delle praterie e delle campagne – è costantemente evocato sinesteticamente dalle note dell’album; durante il presente ascolto soprattutto. 

La raccolta prosegue con “Mexico”, nella quale un accento davvero synth-pop – al di là della concezione del missaggio – forse c’è fattualmente: la linea vocale ricorda infatti, elegantemente, la maniera di Fever Ray, depurata della mestizia che, di frequente, nella medesima artista si può riscontrare. 

“Borders”, quarto pezzo, esordisce con un tocco di noise, sul quale un basso leggermente crunch scandisce un riff piuttosto martellante, mitigato da una chitarra in pulito che esegue accordi vagamente tendenti al jazz. Il ritornello invece si apre verso prospettive più luminose, onde sfociare in una delle melodie del violoncello, che tanto rendono riconoscibile l’idea alla base del lavoro nella sua interezza. 

La track-list prosegue con “Tempesta”, il cui incipit è, per l’appunto, il suono del vento, arricchito da percussioni udibili in lontananza. Una certa drammaticità solca le frequenze della composizione, sorretta da una sezione ritmica abbastanza serrata, all’interno della quale si muovono batteria e chitarra acustica. Verso la fine del brano compaiono delle voci, come se il suono del vento fosse stato fin lì, il protagonista del brano: esso continua a persistere anche verso la fine, arricchita da richiami quasi barocchi, alla Vivaldi. 

“Two tickets to fly” è la sesta canzone di “Tornado” e presenta melodie intrecciate tra loro ma pacate, capaci di ammiccare a qualche soluzione musicale echeggiante ad “Automatic for the people” dei R.E.M. Il suo andamento morbido panneggia un mondo etereo, quasi vitreo, carico di ricordi e nostalgie. 

Più energica è “Society”, per quanto l’half-time della batteria riesca a non sbilanciare, nel complesso, la traccia, rispettando le altre che compongono l’opera. L’introduzione del brano è molto accattivante ma forse la sensazione di tensione che regala, si affievolisce con l’ascolto, salvo accendersi per un momento di nuovo, alla fine. 

A concludere il disco è “Bon voyage” che potrebbe essere considerata l’incisione più briosa dell’album: è un po’ come ascoltare “El Manana” dei Gorillaz suonata in chiave maggiore! In questo brano prevale la voce del Carella su quella della Burnazzi, la quale tuttavia – come sempre – dà sfogo alle proprie capacità sul suo strumento ad arco. 

“Tornado” pare collocarsi felicemente in un’aurea mediocritas tra godibilità ed espressività, perciò quasi – sotto certi aspetti – ad un grado zero della musica pop, non tanto distante dal grado zero della letteratura, raggiunto da Camus ne “Lo straniero”, volendo; il solo difetto dell’opera può essere, in termini strettamente musicali (e affatto semantici) la carenza di una trama esatta, via via, nel tessuto compositivo che lega le tracce tra loro: “Tornado” risulta troppo descrittivo e poco narrativo a tratti, per continuare il parallelo letterario. 

Le idee sono indubbiamente molto promettenti, la realizzazione pure: sarà sufficiente ‘un pizzico di sale in più’ perché i prossimi lavori siano davvero perfetti.

 

Jacopo Bucciantini